Il nome

Pratogaudino, prima Prato Gaudino, prima ancora Prà Gaudin. Pràgudin in piemontese.

Il nome richiama un’origine medioevale della frequentazione di questi luoghi. Prata, come avviene anche per la pianura di San Bernardo, sta ad indicare una zona di recente disboscamento, un terreno reso appetibile per l’allevamento del bestiame, una presenza umana che vive dei prodotti della terra. Un fenomeno ad ampio raggio nei secoli successivi al 1000, per aumentare le possibilità di vita della popolazione in via di crescita.

Ma i nostri prati, siti tra foreste, stando alla possibile origine da “gad” o “gast”, termine germanico per dire foresta, avevano forse qualcosa di poco sicuro: “Gaudina” è anche un’espressione usata per indicare foreste abitate da predoni.

I documenti antichi

Il primo documento a ricordare questi luoghi è un testo del 1263, un atto di transazione tra Cuneo e Roccasparvera per una questione di confini: anche questo è un indizio dell’importanza di un territorio ai fini della pastorizia. Tra i punti di riferimento, viene citato il “rocasum magnum Montis Gironi sive ubi dicitur ad Costam Bellam”: Costabella è il nome odierno di una zona di case sparse (oggi in parte crollate) che si raggiunge salendo da Pratogaudino verso la cima della montagna; il nome ci parla di una bella “costa”, un pendio particolarmente gradevole per vivere, nonostante le difficoltà di un terreno molto roccioso.

Lo stesso documento riporta anche il nome della “Comba Rabeina”, toponimo giunto fino a noi come Rebeina, situato non lontano da Pratogaudino.

Altro importante documento per individuare le origini delle nostre borgate alpine sono gli Statuti di Cuneo, che ci riguardano in quanto parte del distretto della città sul pizzo. Al cap. 316 che tratta del bosco di Cervasca, “bandito”, viene nominato il “pratum Gandini”.

Nei secoli XIII e XIV, nelle zone più alte c’era dunque vita, mentre a valle prendevano forma i paesi di Vignolo e Cervasca (San Michele), la pieve di Santa Maria del Belvedere diventava autonoma da Caraglio, la pianura era attraversata dall’importante Via del Sale, dalla strada “Summae ripae Sturiae” (e poco più tardi dalla “strada nuova di Caraglio”) e veniva in parte coltivata e in parte usata come pascolo.

Prati per il pascolo quindi; ma non abbiamo modo di sapere se quanti utilizzavano questi pascoli risiedessero stabilmente in loco. Non esistono catasti o testimonianze dell’epoca. Studiando i cognomi dei cervaschesi del tempo, troviamo qualche nome che richiama Pratogaudino: tra i firmatari dell’atto del 1291 tra gli uomini di Cervasca e il rettore di Santa Maria o tra le famiglie riportate nel 1441 negli elenchi dei “foci” stilati dai funzionari di casa Savoia c’erano dei Silvestro e dei Comba, cognomi esistenti nei secoli successivi nelle borgate più alte, ma mancavano ancora del tutto i cognomi tipici del ‘700 e dell’800: gli Armando e gli Allinio, arrivati a Cervasca tra ‘500 e ‘600, o i Giordanengo e i Garino, presenti solo dal ‘700. Dall’analisi dei cognomi, si potrebbe dedurre che gli insediamenti stabili in Pratogaudino datano alla seconda metà del ‘600, quando, superati i terribili effetti della peste del 1630, la popolazione riprende a crescere e si rende necessario utilizzare nuovi spazi e creare nuovi piccoli nuclei abitati (tetti, borgate) là dove prima si andava solo per pascolare o raccogliere frutti della terra. E’ anche questo il periodo in cui si sviluppano molti paesi delle vallate alpine, i cui edifici religiosi datano infatti alla seconda metà del ‘600; a differenza di molti piccoli paesi o borgate, Pratogaudino non ha un centro, non ha una sua chiesa se non molto tardi, quando già la popolazione scende a valle, non ha negozi, non ha mulini, non ha osterie: non è un propriamente un paese.

mb