Un gruppo di amici che posano per una foto-ricordo; ricordo di un pomeriggio di festa, ma ormai si sta tornando a casa e i nostri sorrisi sono un po’ malinconici.
Le ragazze poi sono molto più restìe a sorridere!
Siamo nella zona della Comba e prima di affrontare la salita per arrivare alla Concezione, attraverso il pendio dei boschi, ci concediamo uno scatto per ricordare una domenica speciale.
Eravamo stati a Santo Stefano alla festa della Madonna del Carmine, la Carminela.
Eravamo saliti sulle “gabbie”, grossi contenitori rettangolari, chiusi da reti che, per effetto di coordinate spinte di due persone, sistemate in piedi, una di fronte all’altra, dondolavano ogni volta di più, prendendo slancio e arrivando in alto, sempre più in alto; noi eravamo stati bravi, così bravi che il proprietario aveva azionato il freno per paura che andassimo troppo in alto e noi ci eravamo sentiti grandi, non più dei ragazzini.
Gli ultimi spiccioli erano stati spesi per qualcosa di dolce, un gelato dal carrettino di Moreto o una “nuvola” di zucchero filato e poi… non restava che ritornare a casa, con un po’ di rincrescimento.
La foto serviva proprio per far durare nel tempo quelle ore passate tra amici.
Io, con la baldanza dei miei sedici anni, mi ero fatto immortalare tra le due ragazze.
Alla mia destra Maria, molto alta per la sua età; non aveva neanche quattordici anni! Indossava un vestito già da grande, con fiori su fondo bianco, stretto alla vita e senza maniche… all’ultima moda!
Alla mia sinistra Giovanna; viveva a Savona e d’estate veniva in vacanza dallo zio Gioanin Toninèt, che abitava non lontano da casa mia e quindi ci conoscevamo bene.
Accovacciati, in primo piano, due amici comuni: Gianni, Cordète, della stessa età di Maria e Guido, mio coetaneo, che abitava alla Pavia. Nella foto manca l’ultimo amico del gruppo, Luciano; era lui a scattare la fotografia, ma la macchina fotografica era la mia.
Ecco perché sono sicuro della data; era certamente l’estate del 1959 ed io stavo già andando a lavorare come apprendista muratore.
Avevo iniziato proprio nella primavera del 1959; l’anno prima era mancato mio padre; fino ad allora l’avevo aiutato nel lavoro dei campi e dei boschi; non aveva mai voluto mandarmi da vaché perché lui da ragazzino era stato un vacheròt maltrattato e non voleva che io facessi quella vita.
Con i primi soldi guadagnati mi ero comprato la macchina fotografica, un sogno accarezzato da tempo. Seguirà l’acquisto del fon e del giradischi, anche questi desiderati da tanto.
Lavoravo a Cuneo che raggiungevo pedalando su una vecchia bicicletta, abbastanza malandata, che non andava avanti; la odiavo, ne avrei tanto voluto avere una nuova che poi arriverà, ma non subito.
Da la Vila tanti ragazzi e ragazze andavano a lavorare a Cuneo. I ragazzi come apprendisti per imparare un mestiere; le ragazze, quasi tutte, lavoravano alla filatura, nelle Basse di Sant’Anna.
Al ritorno ci si aspettava sul piazzale del distributore della BP, all’inizio del ponte nuovo; radunato il gruppo, si partiva tutti insieme per raggiungere casa.
Nei momenti di libertà ci trovavamo, ragazzi e ragazze, spesso da Nin Ciòta; mandava avanti la sua osteria vicino alla chiesa. C’erano anche altre due osterie, da Gianòt e la Società, gestita in quegli anni da Giulia. Ma noi preferivamo Nin Ciòta!
Eravamo contenti per un niente! Bastava qualcosa di nuovo nel vestiario ed eravamo già al settimo cielo! Oppure il suono di una fisarmonica, che spandeva allegria.
Con il mio mestiere, d’inverno, era impossibile lavorare; lo stato concedeva un assegno di disoccupazione per i mesi più freddi e nevosi.
Non avendo obblighi di lavoro, a Natale del 1960 decisi di andare a trovare mio fratello, emigrato in Francia, a Menton. Doveva essere solo una visita breve, ma poi mi fermai per più di un anno.
Non avevo possibilità di lavorare come muratore, mestiere di cui ero già abbastanza esperto, perché per questo ci voleva un permesso che io non avevo; trovai occupazione nella coltivazione dei fiori, precisamente dei garofani e mi trovavo bene.
Poi era arrivata la cartolina per la visita militare ed avevo dovuto ritornare. Non ho fatto il servizio di leva; avevo diritto all’esenzione avendo due fratelli che già avevano fatto il soldato, ma la visita era ugualmente obbligatoria.
Nonostante l’intenzione di ritornare in Francia a coltivare fiori, quando mi sono ritrovato al paese, sarà l’aria di casa … ma sono rimasto. Mi sono comprato una moto, una Vespa e ho ripreso il mestiere di muratore che poi ho svolto per tutta la vita, lavorando prima per ditte importanti e poi, in seguito, per mio conto.
L’aria di casa… aveva anche un nome, Danila, che conoscevo da sempre perché vicini di casa; ci siamo innamorati e sposati molto giovani, nel 1965; io avevo 22 anni e Danila 18!
Adesso siamo felici bisnonni di un bel pronipotino!
Angelo Serale